Il giorno prima esco dalla fabbrica, mi siedo sotto
un cespuglio e osservo il pane, le lenticchie ed i pomodori che mi ero
portato da casa. Appoggio il caffè a terra, me ne voglio stare un po’ da
solo ed in silenzio.
Penso alla gara che mi aspetta. 100 miglia, si chiama
100 miglia ed in italiano si traduce in 160 chilometri…in montagna, di
notte, di giorno, di notte. Sono previsti 7800 metri di dislivello, 7800
su e 7800 giù. E non mi spaventano. E vorrei farli subito, per evitare
di dover passare un’altra notte rigirandomi sul letto… pensando. Il
meteo è buono e guardo il Carso, guardo a nord.
Tempo magnifico per correre.
Il San Michele è là, lo osservo con calma. Monte di
morte per molti, per me è allenamento, ne ho rispetto e lui mi
restituisce forza.
Sono già le 18:00 e siamo sulla linea di partenza. “Sogna in grande e osa fallire”. Sento lo sparo, e partiamo.
In un baleno usciamo da Vivaro ed entriamo in
campagna. E subito dopo entriamo nei Magredi. I luoghi mi sono
famigliari, ci sono stato a giugno in questi posti, faceva molto caldo,
era un’altra cosa. Guardo attorno a me. Il tempo si ferma e mi rendo
conto della fortuna che mi è capitata.
Tommaso mi ha chiamato martedì: “Vuoi il pettorale per la MMT100? Sono reduce del Tor e del Trail degli Eroi e le mie ernie chiedono un’attimo di rispetto e pace”.
Ho accettato, irrazionalmente ho ascoltato il mio IO , quello che ho
dentro, Lui sapeva che potevo farcela. Tommaso: “che ritmo tieni in una
80 in piano?”
Io: “mai fatta, il mio massimo è stata la Cormorultra di 3 anni fa”.
Ma non voglio dire di più, magari Tommaso cambia idea. Sono sereno
anche se non sono mai riuscito a correre in Luglio ed Agosto, era già
tanto riuscire a mangiare e dormire… la separazione da Cristina è stata
molto pesante. È stata dura, non voglio pensarci.
Irrazionalmente ho accettato perché sapevo che la
possibilità di farcela era dentro di me. Il mio spirito primordiale me
lo diceva, semplice no? Mi guardo attorno, steppa. A nord le montagne.
Adoro questi posti. Sono fortunato e mi sento sereno… e felice. La corsa
è lenta e mai faticosa.
Dentro di me riecheggiano i Litfiba, Vento: “Sono libeeroo, come il ventoo! Libeeroo!”
Canto, dentro me. E ancora penso a Giovanni Lindo Ferretti: “a volte
l’infelicità può essere preziosa” ed è vero, l’infelicità dei mesi
precedenti mi ha spinto qua…
Si viaggia con le gambe, con la mente. Mi ritrovo a
correre nel buio, il sole ci ha lasciati da un po’. Tardo l’accensione
della frontale il più possibile, mi piace così tanto quel momento eterno
in cui gli occhi si abituano all’oscurità, sembra di essere dei piccoli
animali indifesi di fronte al cielo, sempre più scuro.
Arriviamo sul Cellina e lì mi ricordo di Maurizio che
mi aveva detto quella cosa del sasso tondo. Lo cerco, sul greto del
fiume asciutto da sempre. Deve essere abbastanza piccolo da stare in
bocca e devo “sentirlo”. Mi fermo e lo cerco. Molti mi sorpassano, forse
pensano che abbia perso qualcosa. Alla fine lo trovo. Un sasso tondo,
piccolo ed energetico. Me lo guardo, lo metto in bocca e allargo le
braccia, mi servirà per mettermi in sintonia con l’ambiente circostante
ed in effetti così sarà.
Prima rampa, vado su, è ripida. Arrivo al ristoro,
c’è Raffaella, non sapevo della sua presenza ed è bello che sia rimasta
ad aspettarmi. La vedo un po’ preoccupata, forse pensa che sia in coda
al gruppo per le mie difficoltà. In verità sto controllando, devo
arrivare a Piancavallo riposato e non stanco.
È uno dei consigli che Tommaso mi ha dato, assieme a
indicazioni su come e cosa mangiare e su come affrontare una possibile
crisi: “Avrai delle crisi, forse, siediti. Rilassati e se devi
mollare individua un punto preciso, più avanti in cui farlo: tipo tra
due Control Point. Quando sei lì fatti una domanda: Vuoi ancora mollare?
Non riesci a farne ancora un paio? La gente che abbandona crolla, dice
Basta! Rompi quel meccanismo negativo, dai al tuo cervello la
possibilità di modificare il pattern: questo lo fai allontanando
l’uscita….Allontanandola all’infinito ma in tratti ben definiti e
misurabili. Inganna il tuo cervello!”, Tommaso mi ha regalato ben più che un pettorale.
La sosta al ristoro è essenziale, mangio delle
mandorle, saluto e riparto. C’è una salita e poi una lunga discesa non
segnalata dalla mappa… Ma è balisata, per cui siamo ancora sul percorso,
non vi sono dubbi. Le persone che sono davanti a me non mi piacciono,
sento il loro respiro aggressivo ed affannato e le passo, fino ad
accodarmi con due corridori che invece avverto come piacevoli.
Parlano di lavoro, ad Oslo, a Trieste, e precedenti
100 miglia… compagnia piacevole, il tempo scorre… Arriviamo in costa
alla montagna. Alla nostra sinistra c’è tutta la pianura friulana. Mille
luci tremolanti per l’aria umida e calda che sale nella notte blù.
Silenzio interrotto solo da qualche rumore che arriva dalle valli. Non
si capisce perché certi rumori siano così chiari mentre altri appaiono
indistinti.
Comunque, grande pace interiore.
Il
rumore dell’erba nelle mie gambe, la luna appena appena. Arriva un
altro ristoro, mangio delle
mandorle, troppe, e bevo acqua, fredda.
Riparto un po’ confuso, non va bene. Ascolto il mio corpo, le mandorle e
l’acqua fredda non sono state una buona scelta, mi fermo e metto la
giacca. Guai a prendere una congestione. Rallento per un po’, devo
rimettermi in sento. Passa un oretta e ritorno a posto, per fortuna ho
saputo ascoltarmi.
Gioco con la lingua ed il sasso tondo ma … mi cade
dalla bocca, in mezzo all’erba. Va bene, penso che sia giusto così, mi
ha aiutato fino a quando poteva. Ne prenderò un altro quando sarà il
momento.
Arriviamo a Piancavallo che sto bene. Poca fatica,
qualche metro ed arriviamo alla prima base vita. Una bella baita. Fuori
sono 6 gradi, dentro il tepore e cibo e umanità… Mangio di tutto, sto
una favola. Felice, riparto cercando le balise che sono un po’ scarne in
questo punto, ma sicuramente perché sono state portate via da qualche
bipede, l’organizzazione fino ad ora è stata perfetta, vorrei
abbracciarli ad uno ad uno, i volontari. In breve ritrovo la via. Adesso
per un po’ si cammina e si corre in una grande strada sterrata in mezzo
al bosco.
Passa il tempo, bevo, mangiucchio. Ad un certo punto
avverto più forte che mai il silenzio del bosco. Mi fermo, spengo la
frontale ed ascolto. Silenzio, gli occhi si allargano e si muovono senza
far rumore. C’è la luna giusto dietro i pini scuri a est. Si avverte
forte e chiara la notte.
La notte.
Ci sono dei momenti che durano molto più di un
momento. Questo è uno di quelli. Poi, capisco che è ora di ripartire.
Arrivo ad un ristoro dove mi scaldo con un the. I ragazzi sono super
gentili. Chiedo notizie sulla truppa, i primi sono passati ore prima.
Onore al merito, ognuno al suo posto in questo mondo. Scendo rapido per
una specie di scarpata terrosa. Le Cascadia non ce la fanno più, le
suole sono dure, un passante dei lacci cede, dovrò cambiarle
all’ottantesimo. Nessun problema, una vescica in più non ammazzerà
nessuno. Arrivo al ristoro del 55esimo, sono sereno e tranquillo. Arrivo
e trovo Raffaella. È un angelo ad aspettarmi.
Là vedo Enrico, si è ritirato, evidentemente non è
giornata per lui. C’è anche Ezio, fermo con gli occhi bassi, capisco che
la sua gara è finita qua. Mi aveva preso per il culo alla partenza
perché non avevo neanche fatto in tempo ad acquistare i bastoncini,
tanto la partenza era last minute. Potrei tornare la battuta…ma sarebbe
cattiveria. Mi spiace vederlo fermo, leggo i suoi occhi un po’ tristi e
capisco che mollare è sempre una sconfitta. Ci saranno altre occasioni.
Riparto con buona lena.
Discesa ed arriviamo a Maniago che
sto bene. Arrivo canticchiando, Raffaella sorride. Mi fermo ai servizi
del ristoro, mangio e bevo. Ripenso a quando sono venuto qualche anno
prima in quel teatro lì difronte, ad ascoltare Paolini. E poi penso ai
tornei di scacchi che si fanno nel circolo lì dietro.
Si riparte subito per una salita molto ripida,
mantengo un ritmo un po’ più vivace di prima ed in breve scolliniamo.
Una bellezza, alba e montagne nello sfondo. Sto benone. Ringrazio
mentalmente. Si corricchia nell’erba, per fortuna ho messo last second
le calze alte. Non so perché l’ho fatto, io che corro sempre con le
calze basse, ma è stata la scelta giusta.
Evito il massaggio delle ortiche, evito lo struscio
dell’erba umida. Piccole cose che fanno la differenza. I chilometri che
seguono li faccio come in tranche, senza sapere dove sono, senza
coscienza “esterna” ai pensieri del momento. Il corpo va avanti quasi da
solo in modo meccanico ed automatico.
E’ come se fossi in autostrada con la macchina che
avanza senza curarsi della velocità o distanza percorsa. Il ritmo è
tranquillo ed ad certo punto mi ritrovo a Poffabro, metà gara.
Sento un po’ la stanchezza ma quella giusta. Ho già
superato il mio massimo chilometraggio, il motore funziona a bassi giri e
tutto va bene. Ho fame. C’è la pasta al ragù che mi guarda, mi faccio
ammaliare. Mangio. E vicino ci mangio il salmone che mi ero portato da
casa. Cambio le scarpe, metto le Pegasus che, sofferenti, perderanno
anche loro qualche pezzo di suola per strada. Mi asciugo e riparto.
La scelta del pasto è stato un errore (come
d’altronde sapeva la mia testa ma non la mia gola) e vado incontro a due
ore di passeggiata. Di correre non se ne parla. Aspetto fiducioso di
digerire il malloppo fino al centesimo km più o meno.
Il garmin è già passato a miglior vita, ha un’autonomia minore di un essere umano.. penso e sorrido.
Al centesimo c’è una specie di km
verticale, un dislivello di 1100 metri in tre km. Lo affronto con
rispetto. È mezzogiorno e fa caldo, sudo copiosamente. Il sentiero sale e
io con lui. Non mi scompongo, so che è dura ma lo è per tutti. Il primo
è passato qui cinque ore fa. Mito. Si scollina e si corricchia in
cresta fino ad arrivare alla baita con il ristoro. Una bella baita
rifugio.
Dentro c’è di tutto, del salame mi guarda, tentatore,
ma non mi faccio fregare ancora, in un’altra occasione lo avrei fatto
fuori tutto e amen per i brufoli.
Sgranocchio le cose mie e sto al caldo del caminetto a godermi le persone, gli occhi, le mani, i gesti. Che bello.
Uomini in silenzio, l’aria è densa di rispetto.
Riparto in discesa con un gruppetto che mi farà compagnia per un po’.
Alla fine arrivo al Lago del Ciul e lì ritrovo Raffaella e Marco. Che gioia vederli. Corricchio con loro, sto bene.
Mi dicono che sto risalendo la classifica, ero
90esimo, poi 40esimo adesso sono tra i primi 30. Faccio la mia gara,
questa arriva dopo l’avventura, ma mi piace prendere posizioni.
Magnifico. Mangiucchio, li saluto.
Voglio riprendere il gruppetto di prima e corro con
un buon ritmo. Appena li trovo mi accodo e cammino. Forse potrei osare a
correre ancora, ma è la mia prima ultra, forse è meglio volare basso…
Entriamo in galleria e giochiamo a evitare le pozzanghere. Arriviamo ad
un ristoro e subito si riparte in discesa.
È più forte di me, allungo il passo e corro con un
buon ritmo, il gruppetto rimane dietro. Prendo altri due corridori e
quasi vorrei accodarmi per ri-respirare un attimo… non se ne parla, mi
vogliono davanti. Li passo ed allungo. Comincio ad essere stanco, ma
mentalmente sto bene.
Penso che mancano solo 50 km, sembrano tanti ma so che arriverò. Solo un infortunio potrà fermarmi.
Tramonti di sotto, 123esimo km.
C’è Cudin che serve la pasta. Avverto la serenità
dell’uomo, gli chiedo consigli nutrizionali, è super gentile e mi
risponde con calma, con passione.
Riparto, ma le gambe sono dure, di colpo. Che strano…
Vado avanti pensando alle mie cose ed ad un certo punto capisco che non
ci sono balise. C’è un bivio. Non ci sono balise. Ergo, sono sulla
strada sbagliata.. Ufh. Va beh, torniamo su, correndo, in salita, con
rabbia. Ritrovo la via e cammino. Oramai devo gestire le forze. Penso a
Maurizio, penso alle corse sul Carso, al San Michele, penso alle mie
api, faccio passare il tempo.
Di colpo arriva nuovamente. La notte. La seconda notte in giro per boschi.
Case sonnacchiose, animali nascosti. Si sente solo
qualche verso di uccello. Cammino ed arrivo ad un ristoro, oramai
riconosco la sagoma di Raffaella che anche lei è emozionata dal tempo
passato, dalla fatica, dal sonno che però non può fermarmi. Mi aspetta.
Ripropongo urlando il buon vecchio Pavarotti: “all’alba vincerò,
vincerò, vinceeròò…!” ma sono le 8/9 di sera… Momenti di incredula
ilarità, ma anche serenità. Che bel ristoro, tutto così umano, una
vecchia casa di montagna, in pietra, un armadio ad angolo, un pavimento
in cotto veneziano. Mangio e sorrido.
La stanchezza è presente ma oramai mancano un 30km e so che arrivo, che Vivaro è lì, vicino, per cui… felicità!
Me la gusto, me la godo. Riparto bello carico, gambe
stanche ma cuore forte. Rimane da scendere le montagne prima dei
Magredi, lo faccio veloce. I piedi soffrono le vesciche e le gambe sono
in acido lattico ma è la noia la parte più dura, sono da solo da molto
tempo e vorrei compagnia, una buona compagnia. Guardo il cielo e le
ombre. Bello.
Trovo un ristoro e subito dopo è l’ora dei Magredi,
della pietraia. Voglio compagnia, chiamo Maurizio e lo gaso, sto per
arrivare, gli dico che sono stanco ma non mollerò. Lui sa che arriverò,
io pure. Chiamo Cristina per dirle cosa sto facendo. Chiudo subito le
chiamate, ho poca batteria, so che anche loro sono con me e con i miei
sforzi. Sui Magredi siamo in tanti!
Mi fermo e cerco un sasso tondo. Non trovo quello
giusto ma vedo un arbusto secco e mi metto a cercare sotto, tra le sue
radici. Sì, lo trovo, un bel seme, energetico. Lo osservo e lo metto in
bocca. Ritrovo vigore e riparto lento a camminare, che manca ancora un
po’.
Cammino nella notte in un fiume in secca, un sabato
sera un po’ diverso dal solito… Di colpo arrivano anche loro, le
allucinazioni. Mentre cammino osservo le strisce bianche e rosse dei
segnali del percorso, si muovono con la scarna aria della notte e subito
dopo si trasformano in un uomo che si agita.
A destra invece vedo i rami di un arbusto secco
muoversi e divenire braccia di persone, di bambini che si contorcono. Ma
non ho paura, la mia parte cosciente osserva e registra, sono in una
fase tra la veglia ed il sonno, due personalità che convivono. Sorrido.
Avventura piena, non manca nulla! Oramai mancheranno solo 6/7 km…
Mi chiama Raffaella: mi verrà incontro per fare
l’ultimo pezzo assieme. Bene, avrò compagnia. Sono abbastanza stanco e
di correre non se ne parla nemmeno, si che il fondo è piatto e non ci
sarebbero problemi in altre occasioni… Avanzo a fatica. Devo fare la
pipi e non mi sposto nemmeno dal centro del percorso.
Mi fermo e mi guardo attorno. Non ci posso credere!
Da dietro vedo arrivare una luce fioca sobbalzante… La frontale di uno
dietro! Uno che vuole farmi le scarpe! A pochi km dalla fine… Non se ne
parla, mi sistemo e riparto correndo. Non mollerò, riparto con una
velocità inaspettata.
Dopo un 3/4 km trovo Raffaella che incredula mi
chiede perché corro, non ero distrutto? Le spiego cosa sta succedendo,
sorridiamo e assieme avanziamo con un ottimo ritmo, la luce alle nostre
spalle si affievolisce fino a sparire, ma oramai non si molla, dobbiamo
arrivare a Vivaro correndo!
Ed arriva l’asfalto degli ultimi 2 km, e sento la gioia arrivarmi addosso, sopra tutta l’emozione degli ultimi due giorni.
Il gonfiabile dell’arrivo è lì e ci passo sotto e mi fermo, dopo trenta ore, mi fermo.
Il giorno dopo esco dalla fabbrica e mi siedo sotto un cespuglio, appoggio per terra il pane ed il salmone avanzato dai ristori.
Guardo il San Michele, c’è un bel sole tiepido.
Sorseggio il caffè e penso a Tommaso che mi diceva che dopo una 100
miglia la tua vita cambia. Credo sia vero, non lo so perché, ma credo
sia così. Sono svuotato da inutili preoccupazioni.
Guardo il San Michele.
TRATTO DAL BLOG DI DAVIDE ZUGNA